Dal 23 al 26 settembre, i presidenti del Consiglio delle Conferenze Episcopali di Europa si riuniscono per la loro assemblea plenaria. È anche la Plenaria che marca i 50 anni dell’organizzazione. Il 24 settembre, ho avuto l’opportunità, grazie al Cardinale Angelo Bagnasco, di presentare il libro “Cristo Speranza dell’Europa” in uno spazio della plenaria, durante il quale veniva anche presentato il lavoro della FAFCE, che ha ora un protocollo di intesa con il CCEE. Ecco il testo del mio intervento.

Eminenze,

Eccellenze,

reverendi monsignori,

amici.

sono onorato di essere qui con voi, e ringrazio il Cardinale Angelo Bagnasco, presidente del CCEE, per aver permesso ad un giornalista di tenere una relazione di fronte a voi. A Sua Eminenza va la mia stima personale, insieme agli auguri di una pronta guarigione. Non è qui con noi in presenza, ma è come se fosse con voi.

Questo libro nasce appunto da una telefonata con il Cardinale Bagnasco, cui avevo mandato i miei commenti su alcune situazioni della Chiesa che mi preoccupavano. Lui ebbe la cortesia di chiamarmi, e nella nostra conversazione mi resi conto che il CCEE era nel suo anno giubilare. Era tempo che lavoravo sui temi della Chiesa in Europa, e ancora più tempo che volevo scrivere un libro o qualcosa di più strutturato sulla Chiesa europea. L’anniversario del CCEE era per me l’occasione giusta, il punto di partenza necessario per un lavoro che non volevo essere storico. Volevo avesse una finestra verso il futuro.

Oggi non voglio parlarvi del libro che ho scritto. Mi limiterò a dirvi che non è un libro storico, ma è un libro giornalistico. È fatto con la necessaria sintesi. I tempi editoriali non mi hanno permesso di inserire tutti i contributi ricevuti, né hanno permesso a voi di inviarmi i contributi per tempo. Ho approntato un sito internet, dove dalla fine di questa plenaria comincerò ad inserire i vostri contributi integralmente. Questo perché un libro deve essere vivo, deve continuare a crescere, e questo è un assioma valido soprattutto per un libro giornalistico.

Più che del libro – che spero leggerete e del quale spero discuteremo, a più riprese, in un percorso di dialogo costante – vorrei però lasciarvi alcune impressioni e alcune idee che mi sono venute scrivendo questo libro. Si tratta dell’umile contributo di un giornalista, che però ha avuto modo di conoscervi, seguirvi e condividere alcune sfide e timori per il futuro della Chiesa. Ed è di questo che voglio parlarvi oggi.

  1. Il libro si chiama “Cristo speranza dell’Europa” perché Giovanni Paolo II aveva usato queste esatte parole nell’esortazione post-sinodale ecclesia in Europa. Non avrei mai pensato che un titolo del genere potesse essere accettato dalla casa editrice, ed avevo altre proposte, più “secolari” nei termini, più didascaliche. Ma era questo il mio titolo prediletto, dall’inizio. Seguo il CCEE dal 2015, ho partecipato a varie plenarie. Mi ha colpito, in tutte queste assisi, la necessità costante, continua e crescente di centrare tutto su Cristo. Voi siete stati per me una sorta di sentinella dell’evangelizzazione. In un mondo caratterizzato da sfide secolari e sociali, di cui anche io mi riempivo la bocca, mi avete mostrato che il problema non sta in quello che facciamo, ma nel perché lo facciamo. Nel corso degli anni ho imparato a comprendere le sfide dell’ “ordine mondiale senza Dio”, il dramma della marginalizzazione della fede, e compreso anche i vostri sforzi per poter avere un peso cristiano, oltre che evangelico, nella società. Vi sono grato di avermi dato questa prospettiva, che ho voluto riportare poi in questo libro.
  2. Che Cristo sia speranza dell’Europa sta però a noi dimostrarlo con i nostri gesti quotidiani, giorno dopo giorno. Da quando ho cominciato a frequentare le istituzioni europee, ho conosciuto persone straordinarie, cattolici che in situazioni di grande difficoltà, da soli, raccoglievano le grandi sfide e le portavano al dibattito. Sono per me come l’esercito di Gedeone contro i Madianiti, reso ancora più esiguo dal Signore perché si sapesse che la vittoria veniva da Dio, e non dal numero degli uomini impiegati (Giudici 1 – 23). Sono soli. Spesso non ascoltati, nemmeno dalle istituzioni ecclesiastiche. Sono un esercito di numero esiguo, silenzioso e costante, che resta nascosto. Dovrebbero essere ascoltati e supportati quando vanno in prima linea. Hanno bisogno dei loro vescovi, della loro Chiesa, ma anche dei media della loro Chiesa, della voce della loro Chiesa. Non sempre lo riescono ad avere, e certamente non sono supportati da una vera rete. Il fatto è che parlare di rete ci fa automaticamente parlare di lobby, e sembra quasi di cattivo gusto farlo. La verità è, però, che una vera rete nasce prima di tutto dalla formazione culturale. È forse il tempo di un Progetto Culturale Europeo.
  3. La necessità di un rinnovamento prima di tutto culturale nasce da una considerazione: i grandi padri del CCEE erano profeti. Rileggendo le carte, ho visto che negli Anni Settanta si anticipavano sfide che sarebbero diventate realmente attuali solo negli Anni Novanta. Temi come le migrazioni, il dialogo con l’Islam, l’ecumenismo, ma anche il grande tema della libertà religiosa, venivano affrontati, discussi, anticipati. Scorrete i nomi di quei grandi profeti. Erano tutti studiosi. Erano tutti scrittori di libri, esperti, filosofi e teologi, persone che si facevano domande di senso e le cercavano poi di portare nella vita e nella loro missione. Negli anni, sembra essere prevalso sempre più un senso pragmatico che ha portato le cose urgenti a venire prima delle cose importanti. Il mondo è cambiato, è più veloce anche nello scambio delle informazioni, e ci sembra di essere sempre un passo indietro. Si deve ritrovare la spinta e l’energia di fare un passo avanti, di guardare oltre gli ostacoli. Non significa smettere di occuparsi del povero, dell’orfano, della vedova, come chiede la Bibbia. Non significa mettere la carità, l’amore per il prossimo, il dialogo, da parte. Significa includere tutto questo in un grande progetto di rinnovamento culturale, che parta dai vescovi e si dirami in tutti i territori, nel piccolo e nel grande. Tutti devono essere centro di questo progetto, perché la Chiesa non ha periferie: laddove c’è l’Eucarestia, c’è sempre il centro.
  4. Un Progetto Culturale Europeo significa ripensare anche il modo di essere presenti nella società. L’Europa non ha perso la religiosità, ha marginalizzato la religione. Ma fin quando la religione non avrà un senso razionale, sarà sempre messa ai margini. E il senso razionale non viene dalle sfide del mondo. Come dice Papa Francesco, la Chiesa non può essere ridotta ad una Ong. Il senso razionale viene da una mentalità nuova, che è tutta da formare. Paolo VI diceva che “Il mondo soffre per la mancanza di pensiero” (Populorum Progressio). Si tratta, allora, di smettere di far soffrire il mondo. È questa la grande missione.
  5. Per farlo, però, dobbiamo prima di tutto smettere di soffrire inutilmente noi. Da tempo, la Chiesa non conosce se stessa. Non guarda al suo passato con lucidità, quasi vergognandosi che un tempo questo si sarebbe definito un passato glorioso. Presi dalla dittatura dell’opinione pubblicata – quella pubblicata sui media – si tende a scusarsi per ogni cosa, rischiando di mettere da parte lavori importanti pur di non sentirsi in colpa per gli errori commessi. Se la Chiesa è madre, allora comportarsi da madre anche con se stessa. Deve saper contestualizzare gli errori commessi e sottolineare ciò che di buono c’è stato. Perché c’è il buono, e lo dice la storia. Ma la storia va scritta, raccontata, discussa e soprattutto va evidenziata allorquando quello che viene pubblicato non corrisponde al vero, o è falsato solo per attaccare la Chiesa. La presa di coscienza non riguarda solo i nostri errori, ma anche le nostre profezie. Di fronte ai moti risorgimentali, Leone XIII disse che la storia sembrava essere diventata “un complotto contro la verità”. Ancora, ognuno di noi in questa sala è chiamato a sventare questo complotto. E lo deve fare rileggendo i documenti, facendoli rileggere, e imparando a guardare la storia con un “anticipo di simpatia”, necessario, in fondo, perché ogni testo si faccia leggere. Dobbiamo riprendere in mano la consapevolezza di chi siamo. Senza gloriarcene – non sono più quei tempi, ammesso che lo siano mai stati – ma senza metterlo da parte. Non si parte da zero. Si parte da lì.
  6. Io vedo grandi possibilità, a partire da questa storia che ho provato a raccontare. Sento forti le radici cristiane dell’Europa nella rete delle cattedrali, presenti ovunque e volute dalla gente. Sento forti le radici dell’Europa  quando alzo lo sguardo qui e vedo tutti voi, una Europa geograficamente unita sin dai tempi in cui era politicamente divisa, e addirittura fin da quando la Cortina di Ferro sembrava essere lì a far perdere ogni speranza. La Chiesa è rimasta. La Chiesa c’è. Noi ci siamo.

Sono queste le riflessioni che mi viene da fare, pensando a ciò che ho scritto, ma guardando al futuro, come mi sembra necessario fare oggi. Ho concluso il libro dicendo che per la Chiesa è il tempo dell’ascolto, e questo cammino sinodale in cui ci coinvolge Papa Francesco è, di fatto, una grande opportunità. Si tratta, ora, di rendere la Chiesa ciò che è, al di là degli slogan. Di radicarla in quello che siamo. Sono contento che oggi, a fianco a me, ci sia Vincenzo Bassi, presidente della FAFCE. È uno di quell’esercito silenzioso di cui parlavo. Un anno fa, quando nessuno parlava del rapporto Matic che stabiliva l’aborto come un diritto umano, la FAFCE ne parlava. Ma non c’era quasi nessuno in grado di raccogliere e dare voce all’appello. E quel rapporto è stato poi approvato, tra proteste tardive e rimpianti ormai troppo consueti.

Per questo, serve un Progetto Culturale Europeo, che sia poi diffuso in modi diversi, attraverso nuovi media, fuori dai normali canali. Vino nuovo in otri nuovi. La Chiesa in Europa sta giocando una partita in un tavolo con le regole truccate a favore del più grande e forte. Può accettare di perdere, o può creare un altro tavolo. Con questo libro, in qualche modo, volevo offrire un punto di partenza per una riflessione più ampia su questi temi. Spero di esserci riuscito.

Grazie a tutti!

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